L’esclusiva inclusività

28.09.2023

Una delle parole che l'ormai consolidata e nefasta ideologia progressista, relativista e neoliberista ha ostentatamente imposto a livello globale, è la parola "inclusività".

La s'incontra ovunque, ormai da quasi un decennio, nei discorsi politici, nei provvedimenti politici, nelle circolari amministrative degli enti pubblici, nei media mainstream, sui siti delle Istituzioni, nei siti delle aziende filogovernative, nei programmi scolastici, nei libri scolastici, nelle circolari e nei regolamenti scolastici, nelle pubblicità dei prodotti commerciali, perfino nelle tesi universitarie e addirittura nei sermoni in chiesa, ecc. Sono stati addirittura scritti libri per cercare di "imporre" l'uso di un "linguaggio inclusivo" (non basterebbe tornare a insegnare quello che una volta si chiamava più semplicemente "rispetto" di un'altra persona, di un altro essere umano?). Non c'è luogo o settore dove della vita sociale in cui non sia apparsa almeno una volta (fosse davvero solo una…), o non si sia fatto riferimento al concetto d'inclusività. L'inclusività è un ufficiale e dichiarato obiettivo di Governi, organizzazioni e aziende pubbliche e private, e di quasi ogni attività economica e sociale in tutto il mondo, almeno in quello occidentale.

Il termine è quasi diventato il "marchio" di fabbrica dei tempi che stiamo vivendo. Nella teorica quanto propagandistica ideologia progressista, l'obiettivo di creare una "società inclusiva" vorrebbe essere il paradigma di un modo ideale e idilliaco, in cui tutti sono uguali (ma non è dovrebbe già essere questo il mondo democratico?) e ogni persona è accettata per quello che, senza pregiudizio alcuno riguardo il suo modo di pensare, di essere, i suoi gusti personali, il colore della pelle, le disabilità fisiche, ecc., e/o in cui la società si propone di creare i presupposti affinché ciascuno possa sentirsi libero di esprimere pienamente se stesso ed essere al contempo sempre accettato (anche in questo caso sarebbe sufficiente leggere e attuare l'articolo 3, secondo paragrafo della Costituzione Italiana, ma va beh, chi ormai la conosce, chi l'ha letta davvero e/o ancora la rispetta? Non certo le Istituzioni), affinché ci siano pari opportunità per tutti, eliminando gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di quest'obiettivo. Non a caso, il concetto che è di solito associato al concetto di "inclusività" ed è utilizzato per spiegarne e declinarne gli aspetti attuativi è il quello "dell'accoglienza". Ogni struttura pubblica e privata che ha inserito nei suoi obiettivi il concetto d'inclusività, si definisce e si propone di rendere l'ambiente in cui esercita la sua azione, "accogliente". Altri termini spesso associati al concetto di "inclusività" sono "accessibilità" e "integrazione".

Il quasi imposto, diffuso, reiterato e martellante utilizzo del termine "inclusività", sembra avere quasi l'intenzione di voler andare a sostituire in qualche modo nella mente delle persone, il termine concettualmente ben più ampio di "democrazia". In una democrazia reale, infatti (che in Italia non c'è mai davvero stata), il concetto d'inclusività sarebbe soltanto un orpello, tanto inutile quanto tedioso, poiché una democrazia reale è già di per sé "inclusiva" per definizione (per i dubbiosi consiglio di leggere, con molta attenzione, gli art.2, 3 e 4 di quel misterioso, vetusto, eretico e ormai desueto scritto chiamato "Costituzione della Repubblica Italiana"). Il concetto di "inclusività" nasce quindi dalla conclamata incapacità di uno Stato (sempre più frequentemente privato della sua piena sovranità) di rendere effettivi i diritti umani e democratici costituzionalmente riconosciuti. Il ricorso a questo termine nei discorsi politici è quindi la dichiarazione ufficiale del fallimento della democrazia. L'utilizzo del concetto di "Inclusività", che sta lentamente sostituendo il concetto di "democrazia", è, infatti, estremamente riduttivo rispetto al significato di quest'ultima. Il concetto d'inclusività non contempla diritti (che vanno solo garantiti, che nessuno deve concedere poiché costituzionalmente o naturalmente già riconosciuti, e il cui godimento non può essere sottoposto a condizione o volontà alcuna) ma solo buoni propositi (che già oggi possiamo dire, sovente rimangono solo tali), perché l'inclusività non è un qualcosa di "innato" e "personale" come sono i diritti, ma solo un intento, un auspicio, un obiettivo politico che di per sé non è un obbligo da raggiungere ad ogni costo (se non, in teoria, all'interno del ben più ampio concetto di democrazia). L'imposizione del riduttivo concetto di "inclusività" è forse il preludio alla cancellazione dei diritti?

Nel corso degli anni, infatti, e al di là di ogni ragionevole dubbio, è apparso evidente che la tanto sbandierata "società inclusiva" di cui politici progressisti (ma anche gli altri), conduttori TV, giornalisti, Dirigenti scolastici, insegnanti, scrittori di regime, ecc. si riempiono la bocca, è tutt'altro che tale.

Se prima del 2020 in molti potessero avere dubbi riguardo quest'affermazione, gli ultimi tre anni sono stati abbastanza esemplificativi ed esaustivi di quanta ipocrisia si nasconda dietro questa parola. Tanto per ricordare solo sommariamente, abbiamo visto (e continuiamo a vedere) persone discriminate perché hanno fatto scelte differenti da quelle imposte dal Governo, persone escluse dalla vita sociale perché prive della "tessera del Partito unico" (Il Green Pass), allontanate dai posti di lavoro a cui è stato (o viene ancora) impedito di procurarsi un sostentamento, dai luoghi pubblici di svago (stadi, teatri, cinema), censurate, denigrate e insultate sui media tradizionali e sul web perché avevano osato (e osano) esprimere un pensiero "divergente", a cui è stato proibito accedere alle strutture sanitarie e curarsi, a cui è stato proibito fare sport, comprarsi dei vestiti, usare i mezzi pubblici, entrare nei luoghi di culto, spostarsi sul territorio nazionale.

Nel distopico mondo in cui viviamo oggi, si sono avverate tutte le più terribili descrizioni del mondo orwelliano del romanzo "1984", in cui la società controllata dal partito unico del "Grande Fratello" che imponeva il suo pensiero unico, aveva i suoi Ministeri che facevano l'esatto contrario di ciò che poteva apparire dal loro nome. Così il "Ministero della Pace" si occupava di fare in modo che si fosse sempre in guerra, il "Ministero della verità" si preoccupava di organizzare la propaganda affinché la popolazione vivesse sempre nella menzogna, il "Ministero dell'Amore" praticava la tortura dei dissidenti e il "Ministero della'Abbondanza" programmava le carestie. Lo slogan del partito unico (oggi per noi del pensiero unico progressista, relativista, neoliberista, europeista e globalista) viveva sotto la continua propaganda che recitava così: "La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l'ignoranza è forza" a cui quindi potremmo aggiungere "l'inclusività è esclusione".

Già perché senza eccezione alcuna, chiunque si è riempito la bocca della parola "inclusività" non ha poi avuto alcuna remora nell'applicare le disumane discriminazioni di Stato che si sono avute dal 2020 in poi (in realtà anche da molto prima). Tutte queste ipocrite e pericolose persone (ma forse "persone" è un termine inappropriato …) dichiarano di voler realizzare un mondo, una società inclusiva ma, di fatto, né realizzano una "esclusiva": nel loro mondo sono ammessi, infatti "esclusivamente" quelli che la pensano come loro e si assoggettano, in tutto e per tutto, allo Stato e al pensiero unico, abdicando alla propria libertà, al proprio corpo, alla propria vita.

Per tale motivo il concetto di "inclusività" dovrebbe essere diventato indigesto a chiunque creda realmente all'importanza del riconoscimento e della garanzia (sempre in ogni circostanza e senza limiti e deroghe) dei diritti umani e democratici. L'ormai odioso, ipocrita concetto d'inclusività va lasciato volentieri ai totalitaristi progressisti, che stanno distruggendo il mondo con il loro finto perbenismo e buonismo, maschere per nascondere un animo disumano e "demoniaco" fatto d'individualismo, opportunismo, egocentrismo, discriminazione, sopraffazione, violenza (psicologica, verbale e fisica), sadismo.

Chi oggi usa la parola "inclusività", sta di fatto dichiarando il suo "credo" la sua adesione al pensiero totalitario e antidemocratico.

Stefano Nasetti

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