Donne al potere o “strumenti” di persuasione politica?

27.09.2023

Attenzione: la lettura di quest'articolo è riservata alle persone senzienti e che non sono sotto "l'influsso" dei media mainstream e dell'ipocrisia globalista/progressista. Se fai parte di quest'ultima categoria, fatti (e fammi) un favore non leggere e prosegui oltre.

Le donne al potere non sono una cosa moderna. Nella storia esistono diversi esempi di donne che hanno ricoperto per diversi anni posti, di assoluta preminenza. Certamente non si ricordano i periodi di "governo" di queste donne perché sono stati tra i migliori della storia umana dei rispettivi periodi storici, ma si ricordano soprattutto perché in una società, quella umana, che è stata in tempi storici quasi esclusivamente di tipo patriarcale, le donne che sono riuscite a raggiungere posizioni apicali nelle gerarchie del potere, hanno rappresentato un'eccezione. Se da un punto di vista di riconoscimento delle "pari opportunità" e diritti questo è certamente un male, non si può dire con certezza se questo lo sia stato o no in termini di decisioni politiche. Questo perché non è assolutamente vero che le donne sono sempre meglio degli uomini. Entrambi sono persone, il loro lavoro va giudicato con lo stesso metro.

Infatti, mi preme subito puntualizzare che il presente articolo non ha l'intenzione di "valutare" l'effettiva capacità di uomini o donne nel ricoprire i ruoli di potere, ma solo quello di analizzare statisticamente ciò che sta accadendo negli ultimi decenni, in cui sempre più donne sembrano riuscire con maggiore frequenza a scalare la piramide del potere per insediarsi al vertice delle istituzioni delle organizzazioni pubbliche e private di maggiore influenza, sia a livello nazionale, sia a livello internazionale, e come a questa maggior presenza femminile non abbia corrisposto un miglioramento della società rispetto al passato, anzi come vedremo potremmo anche aver vissuto dei passi indietro, non sempre, sia chiaro, imputabili alla capacità delle donne al potere.

Negli ultimi cento anni in Europa, e in Italia, la donna si è sempre più affrancata a livello sociale. Ciò nonostante, sebbene questo abbia consentito una sua giusta equiparazione nel godimento dei diritti democratici, e quindi nell'accesso al lavoro, alla politica, ecc. rispetto all'uomo, la donna ha continuato a essere sovente utilizzata, come "strumento di persuasione" delle masse, com'è avvenuto e avviene ancora oggi a scopo commerciale nelle pubblicità, ad esempio. Se i movimenti femministi degli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, hanno influito sul processo di affrancamento sociale delle donne, hanno al contempo quasi "mitizzato" la figura femminile, al punto da riuscire a instillare l'idea, nella mente dell'opinione pubblica che una donna sia sempre meglio di un uomo, quasi sotto ogni punto di vista, soprattutto sotto quello etico-morale. L'errore di fondo sta nel valutare le cose a seconda di chi le dice o le fa, e non per come le parole, i fatti e le idee sono realmente (tornerò probabilmente su questo tema con un articolo specifico).

Questo tipo di falsata visione della realtà, oltre ad essere concettualmente sbagliata (perché ripropone in modo inverso la medesima ideologia che il movimento femminista aveva dichiarato di voler combattere, vale a dire l'idea della supremazia morale e intellettiva dell'uomo) ha, di fatto, gettato le basi per una nuova forma di strumentalizzazione della donna che, probabilmente, ha sempre a che vedere con la persuasione delle masse. Questa volta però la finalità non è meramente economica ma politica.

Negli ultimi due decenni abbiamo visto anche in Italia e in Europa, che sempre più donne hanno ricoperto ruoli politici di rilievo. Ministri, capi di partito, Presidenti del Consiglio, Presidenti della Corte Costituzionale, Presidenti della Repubblica o Primi Ministri di Governi e Stati europei, Presidenti dell'Unione Europea, Presidente della Banca Centrale Europea, ecc. l'elenco è lungo.

A distanza di anni dall'inizio di questo processo, è possibile fare un piccolo bilancio per analizzare ciò che di rilevante queste persone hanno fatto una volta giunte al vertice delle istituzioni, al fine di comprendere se il loro lascito è così "migliore" (come suggerito dal semplicistico, mediocre e ideologicamente manipolato pensiero comune) rispetto a quello dei loro colleghi predecessori e successori maschi, su cui siamo, penso, tutti d'accordo, nel sottolineare non siano stati sempre autori di buoni provvedimenti e di buona politica.

Vediamo cosa è successo negli ultimi venticinque anni nel nostro Paese, l'Italia. Dalla fine della "prima Repubblica" e la "presa di potere" dell'ideologia progressista, il nostro Paese è stato letteralmente sconquassato da una serie di riforme sociali e dall'emanazione di leggi liberticide, che sono andate a stravolgere completamente il sistema economico, previdenziale e lavorativo, sanitario e della ricerca e dell'istruzione. Tutti settori fondamentali e determinanti per una nazione.

Analizziamole per settore, partendo da quello scolastico.

Le principali riforme della scuola sono state attuate da:

1. Ministro Luigi Berlinguer dal 1996 al 2000

2. Ministro Letizia Moratti dal 2001 al 2006

3. Ministro Giuseppe Fioroni dal 2006 al 2008

4. Ministro Maria Stella Gelmini dal 2008 al 2011

5. Ministro Francesco Profumo dal 2011 al 2013

6. Ministro Maria Chiara Carrozza dal 2013 al 2014

7. Ministro Stefania Giannini dal 2014 al 2016

Da una prima analisi, balza subito all'occhio come quello scolastico sia un settore in cui si sono susseguite, senza soluzione di continuità, un numero elevatissimo di riforme e di come la maggioranza di esse (ben 5 su 7) portino la "firma" di un Ministro donna. L'insieme di tutte queste riforme hanno avuto il comune denominatore di consegnare, di fatto, la scuola al mercato, determinando l'orientamento dell'insegnamento scolastico al risultato, da misurare sempre più frequentemente in modo automatizzato mediante i test a risposta multipla, e attuato tramite l'apprendimento mnemonico, a discapito dell'insegnamento basato sulla cultura e sulla comprensione oltre che sullo sviluppo del senso critico e del pensiero individuale.

Non si può fare a meno di evidenziare che tra tutte queste riforme, quelle più discusse e discutibili, siano la Riforma Moratti, la Riforma Gelmini e la Riforma della "buona scuola" del Governo Renzi, con Ministro Stefania Giannini. Nella prima, la Riforma Moratti, la scuola auspicava un asse formativo facente perno sulle tre "i" (Inglese, Impresa e Informatica), e introduceva l'assurda "alternanza scuola-lavoro", che se da un lato era giustificata con la volontà di agevolare l'inserimento degli studenti nella realtà lavorativa, dall'altro, di fatto, serviva a predisporre fin da giovanissimi i futuri lavoratori ad adeguarsi alle condizioni di lavoro imposte dal graduale smantellamento dei diritti conquistati faticosamente nel secolo scorso. Con la Riforma Moratti poi, vennero anche introdotte le prove INVALSI – ossia test standardizzati a "risposta multipla e chiusa"per rilevare il livello di apprendimento – che contribuiscono a conferire allo studio e ai test un carattere omologato oltre che puramente meccanico e nozionistico.

La seconda, la Riforma Gelmini, fu caratterizzata da una riduzione consistente di risorse nei settori d'istruzione e formazione ed a una riduzione espressiva degli organici del personale docente e ATA. Infatti, se la riforma Moratti aveva accelerato quel processo per cui il "sapere" doveva essere piegato ai canoni della produttività, finalizzandolo prevalentemente all'attività lavorativa, con la riforma Gelmini si completò invece il processo di privatizzazione o aziendalizzazione dell'università cominciato negli anni Novanta con la "Riforma Ruberti", e si procede a un netto taglio delle risorse al Fondo di Finanziamento Ordinario, unica entrata statale per gli atenei. La riforma Gelmini, infatti, introdusse la possibilità di trasformare le università in fondazioni di diritto privato, fermo restando il loro carattere di enti non commerciali, dotati di autonomia gestionale, organizzativa e contabile.

Con la terza, la riforma Giannini, più nota con l'appellativo di "riforma della buona scuola", si è proseguita la "ristrutturazione" dell'istruzione sulla falsa riga delle riforme precedenti e con l'intento di creare un sistema (dis)educativo che ha fatto della scuola il luogo preposto ad assecondare i cambiamenti imposti dall'alto, plasmando le future generazioni secondo criteri funzionali agli interessi delle multinazionali e del libero mercato. Tra i punti principali introdotti da questa riforma, vi è quello dell'autonomia scolastica – in continuità con la legge Ruberti – e il consolidamento dell'alternanza scuola – lavoro, in continuità con le riforme Moratti e Gelmini. Con l'introduzione "dell'autonomia scolastica" viene, di fatto, generata la necessità da parte degli istituti di "accaparrarsi" i fondi privati, innescando tra loro una competizione che porta alla creazione di scuole di serie A e di serie B e in cui gli studenti sono ridotti a clienti da attirare anche attraverso operazioni di marketing, secondo i più tradizionali criteri aziendali. Non a caso, da quel momento in avanti, le scuole hanno cominciato a creare eventi di "Open Day" (notare l'ormai immancabile inglesismo) per attrarre studenti, neanche fossimo a una fiera, per la necessità di avere iscritti, perché pochi iscritti = pochi finanziamenti. Ma il maggior cambiamento introdotto con la "Riforma Giannini della Buona Scuola" è stata l'introduzione obbligatoria, per tutti gli indirizzi di studio, dell'alternanza scuola-lavoro. Per valutare gli effetti di questa riforma, è essenziale considerare anche il contesto storico del momento. Sono gli anni del "Jobs Act", la legge che prevedeva la possibilità da parte del datore di lavoro di licenziare un dipendente senza giusta causa. Il Job Act è stata la riforma simbolo della "liberalizzazione" del mondo del lavoro che imprime sempre più a quest'ultimo i caratteri di precarietà e flessibilità. Anche la scuola, dunque, è stata trasformata in un serbatoio da cui poter attingere manodopera totalmente gratuita da adattare, fin da subito, agli standard dell'instabilità economica e sociale.

Ciascuna di queste devastanti riforme del sistema educativo è stata ben presentata all'opinione pubblica, utilizzando l'immagine del Ministro donna (e dunque mamma), quasi a rimarcare il carattere "umano e protettivo" dello Stato nei confronti dei cittadini in età scolare. Chi più di una mamma può sapere cosa è meglio per i propri figli?

Anche il settore previdenziale è passato attraverso diverse riforme. Ecco l'elenco completo:

1992 Riforma Amato (Giuliano)
1995 Riforma Dini (Lamberto)
1997 Riforma Prodi (Romano)
2004 Riforma Maroni (Roberto)
2007 Riforma Damiano (Cesare)
2010 Riforma Sacconi (Maurizio)
2011 Riforma Fornero (Elsa)

Sebbene in questo caso sia solo l'ultima (su 7 totali), quella del 2011 (la riforma Fornero), a portare la firma e il nome di una donna, si tratta certamente della più "Indigesta" e più discussa riforma previdenziale della storia repubblicana.

La Riforma Fornero elimina del tutto il sistema quote ed estende il sistema contributivo alla generalità dei lavoratori, azzerata la differenza tra uomini e donne rispetto ai requisiti per le pensioni, innalza i requisiti sia per la pensione di vecchiaia che per quella di anzianità, che, di fatto, da quel momento sarà chiamata "pensione anticipata". Fin dalla sua entrata in vigore (2012), l'impatto sociale è stato pesante, passando dalle uscite possibili già a quota 96, a pensioni anticipate a 41 anni di contributi o pensioni di vecchiaia a 66 anni di età. Ed è così che si è arrivati alle norme, che anche dal 2020 prevedono 42 anni e 10 mesi di contributi per la pensione anticipata (per le donne resta un anno in meno) o 67 anni di età e 20 di versamenti per le pensioni di vecchiaia, poi superate dalla cosiddetta quota 100. Ma la tanto indigesta riforma è stata poi mediaticamente "addolcita" al fine di consentire un minore livore sociale dall'immagine del Ministro donna Elsa Fornero, che "piange di dispiacere" (dichiarazione del Ministro) al momento dell'approvazione in Parlamento di una "riforma tanto dolorosa, quanto necessaria".

Ci sono poi alcune leggi anch'esse particolarmente impattanti sul livello di libertà e democrazia in Italia.

Se alla fine degli anni '90 dello scorso secolo, l'allora Ministro della salute De Lorenzo (poi condannato per aver intascato tangenti proprio riguardo questo provvedimento) introduceva (solo formalmente) un presunto obbligo vaccinale, rimasto di fatto senza effetti oltre 25 anni, nel 2017 è ancora una volta un Ministro donna a dare una decisa spallata al diritto umano fondamentale e costituzionale dell'inviolabilità del corpo, rendendo maggiormente efficace un "obbligo vaccinale" (sebbene tale solo mediaticamente e non legalmente) con una legge che porta il suo nome: la legge Lorenzin. Anche qui il provvedimento è stato preceduto e accompagnato fino alla sua approvazione da un'apposita campagna di propaganda mediatica, in cui il Ministro Beatrice Lorenzin ha più volte rimarcato la necessità di approvare il provvedimento in tutta coscienza di "mamma e donna a tutela della salute pubblica e dei più piccoli", poiché questo provvedimento "colpiva" in particolar modo i bambini.

In quegli anni, intanto, il Presidente della Camera Laura Boldrini, (terza donna a ricoprire la carica dopo Nilde Iotti e Irene Pivetti, di cui ricordiamo appena i nomi) "attentava" alla lingua italiana. Un inedito nella storia repubblicana e cosa che non accadeva in Italia dai tempi del fascismo, quando il regime emanò una serie di leggi a tutela della lingua italiana. Il Presidente della Camera s'impegnò imponendo la storpiatura al femminile delle cariche pubbliche come Ministro in Ministra, Sindaco in Sindaca, Assessore in Assessora, Prefetto in Prefetta, ecc., oltre che in un'ipocrita battaglia per declinazione di altri mestieri al femminile come la giudice, l'ingegnera, la chirurga, l'architetta ecc., come se questo portasse un reale beneficio al riconoscimento effettivo dei diritti alle donne. Storpiature e imposizioni linguistiche che hanno caratterizzato la durata della sua carica di Presidente della Camera e principale cosa (o forse unica) per cui è oggi ricordata.

Pochi anni dopo il Ministro degli Interni Luciana Lamorgiese, ordinava il pestaggio di pacifici, indifesi e disarmati manifestanti (mai successo neanche durante "gli anni di piombo") rei di manifestare (diritto riconosciuto in costituzione) ed esprimere il loro dissenso verso le politiche governative discriminatorie e restrittive delle libertà personali e dei diritti umani fondamentali, in alcune piazze delle città italiane come Roma e Trieste. Tutto ciò mentre l'ex detenuta di Auschwitz e oggi senatrice a vita Liliana Segre, da anni continuava a fare propaganda sionista, propaganda che aveva già portato all'introduzione nell'ordinamento italiano, della limitazione della libertà di espressione e parola, con l'entrata in vigore della cosiddetta "legge sul negazionismo".

Intanto il Ministro della Giustizia Marta Maria Carla Cartabia, nonché già prima donna Presidente della Corte Costituzionale (dal 13 dicembre 2019 al 13 settembre 2020, per pura coincidenza proprio nel periodo in cui sono stati emanati i Decreti Legge e i DPCM più incostituzionali e sovversivi della storia della Repubblica Italiana, senza che la Corte intervenisse) proponeva e riusciva a far approvare, una riforma della giustizia, al fine di ottenere i fondi europei del PNRR. La riforma Cartabia ha introdotto la possibilità di sostituire il carcere dei criminali condannati in tribunale con pene inferiore ai quattro anni, con pene come la semilibertà, la detenzione domiciliare, i lavori di pubblica utilità o pene pecuniarie. Non certo un giro di vite verso la diminuzione della criminalità comune, ma anzi un "ammiccante" segnale alla criminalità organizzata.

In tema di Corte Costituzionale come dimenticare il periodo di presidenza di Silvana Sciarra (in carica dal settembre 2022 a fine Ottobre 2023), la seconda donna (dopo la citata Cartabia) a ricoprire la quinta carica più alta dello Stato, periodo nel quale la Corte si è più volte pronunciata a favore dei discriminatori, antidemocratici, incostituzionali, ricattatori ed estorsivi provvedimenti emanati in tema di Covid dai Governi Conte I e II e Draghi, ai danni di milioni di cittadini?

Dopo decenni poi di Governi progressisti in cui i flussi migratori sono regolarmente aumentati di anno in anno, per poi ridimensionarsi durante un breve periodo di Governo a guida 5 Stelle-Lega, abbiamo dovuto assistere alla nomina del primo Presidente del Consiglio donna, Giorgia Meloni, di centrodestra, per vedere decuplicati gli sbarchi e l'arrivo d'immigrati irregolari. E mentre a parole il Primo Ministro Giorgia Meloni continua ad affermare di voler combattere la piaga dell'immigrazione clandestina, dispone addirittura provvedimenti atti a "preservare" dalla permanenza nei centri di accoglienza prima del rimpatrio, dietro il pagamento di una "cauzione" di € 5.000.

Mentre ciò accadeva in Italia, in Europa le cariche politiche apicali si moltiplicavano e alla Cancelliera tedesca Angela Merkel, che per anni ha imperversato e di cui non è necessario qui esprimere opinioni sull'operato nefasto perché ci vorrebbe troppo tempo, si sono aggiunte il Primo Ministro finlandese Sanna Marin, quello danese Mette Frederiksen, quello islandese Katrin Jakosdottir, quello estone Kaja Kallas. Quello lituano Ingida Simonyte, il Presidente della Repubblica slovena Natasha Pirc Musar, quello della Slovacchia Zuzana Caputova, tutte favorevoli e promotrici delle ideologie LGBTQ.

L'elenco continua con il Presidente della Grecia Katerina Sakellaropoulou, il Presidente della Moldavia Maia Sandu, il Primo Ministro moldavo Natalia Gavrilita, il Presidente del Kosovo Vjosa Osmani-Sardiu, il copresidente (la carica è ripartita tra 3 rappresentati uno serbo, uno croato e uno bosniaco) della Bosnia Erzegovina Zelijka Cvijanovic, il Primo Ministro Serbo Ana Brabic, e il primo ministro Ungherese Katalin Eva Novak. Il giudizio sul lascito e sul lavoro politico di queste ultime non può essere espresso dal sottoscritto per mancanza d'informazioni sufficienti a farsi un'idea ponderata e realistica, considerato anche che sono in carica da poco tempo.

Infine, come non ricordare, nell'analisi di questa disamina, le nefandezze compiute al fine di distruggere economicamente gli Stati europei, la loro identità e cultura, dalla Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Layen e il Presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde, che non hanno bisogno di presentazioni. Due veri e propri strumenti per il consolidamento del potere oligarchico di origine economico-finanziario in Europa.

La scrittrice di romanzi gialli Agatha Christie diceva "Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova".

In questo caso, gli "indizi" sono talmente tanti che di prove ne abbiamo a iosa.

Insomma, dall'analisi sopra esposta (che non ha la presunzione di essere esaustiva) è legittimo pensare che quando una donna giunge in posizioni apicali di potere, non ci si debba assolutamente aspettare un comportamento migliore di quello dei colleghi uomini.

In altre parole mentre ai colleghi uomini viene affidato, da chi realmente legittima il potere (che non è il popolo, ma le lobby economico finanziarie), il lavoro di "ordinaria amministrazione", si ha la netta impressione che alle donne venga affidato "il lavoro sporco": è possibile che quando c'è da calcare particolarmente la mano su taluni aspetti delicati, proporre all'opinione pubblica una donna come "autrice" o "responsabile" della stretta liberticida, della gravosa riforma sociale o del nefasto provvedimento legislativo, sia ritenuta la "scelta migliore". Una evidenza che dovrebbe in primis far indignare soprattutto le donne stesse.

Se non possiamo escludere che le donne possano essere "utilizzate" da chi realmente detiene il potere, come "grimaldello" per scardinare determinati equilibri sociali, aiutando a introdurre concetti antidemocratici propedeutici poi a restrizioni continue sempre più pesanti o provvedimenti distruttori dell'economia e dell'oganizzazione sociale di interi paesi, è certamente possibile affermare che dovremmo prestare molta attenzione quando una donna è nominata al vertice di una qualche istituzione, per capire se è realmente la persona migliore, più competente, o se invece è quella più funzionale al potere costituito, anche perché donna, e sta quindi per arrivare qualche folle decisione.

Solo quando un giorno vivremo forse in una società realmente democratica, sarà possibile escludere che alcune tipologie di persone, solo per le loro caratteristiche di appartenenza, possano non essere strumenti del potere nelle mani di qualcuno, così come lo è stato a suo tempo il primo presidente americano di colore Barak Obama, il primo pilota di Formula1 di colore Luis Hamilton, la prima "Miss Italia" di colore Denny Mendez, o gli ormai onnipresenti omosessuali nei salotti televisivi e in qualunque programma tv, tanto per fare altri esempi, tutti strumenti per la manipolazione del pensiero di massa e per l'instaurazione di una società eterogenea (spesso priva di valori identitari).

Nel frattempo dovremmo tutti imparare a valutare i fatti senza lasciare che l'immagine o la natura di chi li propone possa influenzare il nostro giudizio come probabilmente è stato per i provvedimenti e le riforme sopra indicate, avendo l'onesta intellettuale di ammettere che il mondo attuale, che si fonda su immagine e post-verità, è un mondo assolutamente fittizio in cui il potere costituito utilizza ogni espediente, anche il più impensato, per manipolare e orientare le masse.

Stefano Nasetti

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