Pagamenti elettronici obbligatori e transizione digitale gli strumenti del Colpo di Stato in atto in Italia

23.10.2023

Qualche giorno fa (ottobre 2023), il Comune di Roma ha annunciato che da ora in avanti, negli uffici comunali saranno accettati soltanto pagamenti digitali per il rilascio di documenti, certificati anagrafici e per altri servizi.

L'ufficializzazione di questa decisione è stata da molti interpretata come un nuovo passo verso l'imposizione della moneta digitale, con tutto ciò che questo comporta in termini di diminuzione della libertà personale, di sorveglianza e controllo della popolazione. Eppure non è solo questo legittimo timore che dovrebbe portare a guardare con diffidenza questa decisione, fino al punto di combattere e rifiutare tale imposizione di pagamento. Chiunque abbia compreso la pericolosità di tutto ciò che riguarda la cosiddetta "transizione digitale" e la pericolosità dell'imposizione esclusiva dei pagamenti elettronici, dovrebbero sostenere la tesi del rifiuto di queste imposizioni non solo per le future conseguenze possibili, probabili e nefaste dell'adozione di questi strumenti ma, soprattutto la violazione di principi fondamentali che tutto questo comporta già ora, ancor prima che la "transizione digitale" si compia.

Mi preme anzitutto specificare che l'annuncio del Comune di Roma è soltanto un'ufficializzazione (non ho utilizzato a caso questa parola) di una realtà già presente da alcuni anni. Posso testimoniare in prima persona, che già dalla primavera del 2021 (quindi oltre due anni fa, ma probabilmente era così già da mesi prima) in alcuni uffici circoscrizionali non era più possibile pagare in contanti. Leggere quindi quest'ufficializzazione come un altro passo verso l'imposizione di pagamenti digitali o verso la "città dei 15 minuti" (il legame tra le due cose sebbene presente è abbastanza flebile), non appare del tutto corretto dal momento che, purtroppo, tale imposizione, come detto, era presente già da tempo, ancor prima che si cominciasse a parlare della città dei 15 minuti. C'è poi da dire che questo discorso fa il paio con quello che già accade per quanto riguarda alcuni servizi essenziali, quale quelli riguardanti ad esempio il rilascio dei documenti d'identità e dei passaporti nelle questure, e tanti altri servizi erogati dallo Stato accessibili solo via web.

Tornando però ai motivi che dovrebbero essere alla base del rifiuto e del contrasto a questo tipo d'imposizioni, ci dovrebbero invece essere motivazioni ideologiche, costituzionali e legali.

Imporre l'accesso a qualunque tipo di servizio pubblico e/o di pubblica utilità erogato dallo Stato o dagli apparati pubblici nazionali e locali, esclusivamente attraverso il digitale è una cosa che già oggi, già come idea e non solo al momento della sua applicazione, è contro la natura stessa dello Stato, la democrazia e la Costituzione.

Infatti, non si tratta solo di andare contro l'articolo 693 del Codice Penale che stabilisce in modo inequivocabile che non è possibile rifiutare il denaro contanti e che "… Chiunque rifiuta di ricevere, per il loro valore, monete aventi corso legale nello Stato, è punito con la sanzione amministrativa fino a euro 30o contro le raccomandazioni 2019/191/UE della Commissione Europea che stabilisce, in merito all'obbligo di accettare il contante, che "Gli esercenti non possono rifiutare i pagamenti in contanti, salvo qualora entrambe le parti abbiano convenuto di utilizzare un mezzo di pagamento diverso" e che "gli enti pubblici che forniscono servizi essenziali ai cittadini non possono applicare restrizioni o rifiutare categoricamente i pagamenti in contanti senza un motivo sufficiente. Ciò comprometterebbe il corso legale delle banconote e monete in euro protetto dal diritto dell'UE", che già di per se la dicono lunga sull'illegittimità di accettare solo pagamenti elettronici o disporre accesso esclusivamente digitale a servizi pubblici da parte dello Stato e dei suoi apparati, andando contro le sue stesse leggi e quelli di un organismo sovrannazionale a cui si è ceduta parte della propria sovranità legislativa e, dunque alle cui disposizioni ci si dovrebbe per coerenza attenere.

Qui la questione è ben più profonda e può addirittura essere ricondotta a reati ben più gravi come quello di sovversione dell'ordine democratico costituito. Prima di sobbalzare sulla sedia e giudicare eccessiva quest'ultima affermazione, invito a leggere con attenzione quanto segue.

L'Italia è ufficialmente "una repubblica democratica". Sebbene ci siano moltissime evidenze che nei fatti non sia così, lo rimane ufficialmente e nella testa della stragrande maggioranza dei cittadini.

La democrazia si fonda sull'uguaglianza dei cittadini, uguaglianza che si manifesta attraverso il riconoscimento e la garanzia (intesa come capacità di applicazione, di rendere reali ed effettivi) dei diritti umani e fondamentali.

La stessa Costituzione italiana, all'art. 3, paragrafo 2 dispone in merito che "E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".

Già questo sarebbe sufficiente a far comprendere che un'amministrazione pubblica, di qualunque grado o tipo, non può e non deve introdurre invece ostacoli che possano acuire le disuguaglianze e configurare nei fatti discriminazione. Tuttavia, questo punto, ricopre ancora un'importanza relativa nella disamina delle motivazioni che possono configurare il reato di "sovversione".

Abbiamo detto, infatti, che l'Italia è una democrazia, e in una democrazia i cittadini sono uguali solo se gli sono effettivamente riconosciuti e garantiti i medesimi diritti. Abbiamo visto che per il godimento dei diritti si configura l'obbligo dello Stato (e di tutti i suoi apparati) di intraprendere azioni ed erogare servizi atti appunto a rendere uguali i cittadini.

La transizione digitale nel modo in cui si sta configurando (cioè con l'imposizione esclusiva dei pagamenti digitali e l'accesso esclusivo attraverso il web a servizi, quali ad esempio tutti quelli che richiedono lo SPID, dai semplici appuntamenti per il rilascio di documenti quali Carta d'identità, o passaporto, passando per le dichiarazioni ISEE necessarie per accedere ad agevolazioni fiscali, fino al pagamento per il rilascio di certificati) non va certamente nella direzione sopra indicata.

Infatti, l'utilizzo dei mezzi digitali presuppone SEMPRE l'intermediazione di un soggetto terzo, la cui attività è subordinata alla sottoscrizione di un contratto tra il cittadino e l'intermediario.

Facciamo qualche esempio. Cominciamo dai servizi pubblici (prenotazione per il rilascio passaporto e carta identità, dichiarazioni ISEE, portale INPS, ecc.) con accesso esclusivo tramite web e per cui, in moltissimi casi ormai, non è possibile ottenere accesso ai medesimi servizi direttamente allo sportello dell'ente statale, territoriale o dell'agenzia interessata.

Per accedere a questi servizi è necessario: possedere un dispositivo (un computer, un tablet o uno smartphone) che funziona "SEMPRE" ed esclusivamente, solo dopo aver creato un proprio account (Google per gli smartphone e i tablet Android, Apple per computer, smartphone e tablet con sistema operativo iOS, Microsoft per i computer con sistema operativo Windows, ecc.).

Deve essere ben chiaro che ogni volta che creiamo un account (di qualunque tipo, anche quello relativo ai social) dal punto di vista legale stiamo sottoscrivendo un contratto, in tutto e per tutto regolato dagli stessi articoli di legge che regolano qualsiasi altro contratto stipulato con "carta e penna" per la fornitura di servizi. L'unica differenza è che i contratti sottoscritti in virtuale sono definiti "atipici", mentre quelli sottoscritti con carta e penna sono definiti "contratti tipici", per il resto non cambia assolutamente nulla.

Stesso discorso, anche se questa volta il tutto avviene con la sottoscrizione di un contratto tipico, si verifica quando apriamo un conto corrente (postale o bancario) e richiediamo una carta bancomat o carta di credito che poi ci consentirà di fare il pagamento elettronico.

Il nostro ordinamento giuridico, così come quello di qualunque altro Stato, vieta la possibilità che qualcuno sia obbligato a sottoscrivere un contratto. Il contratto forzatamente sottoscritto da una delle parti è nullo, perché l'accordo (e quindi la volontà di sottoscrivere il contratto) è uno dei quattro requisiti essenziali del contratto stesso.

L'imposizione di accesso ai servizi o al pagamento elettronico da parte di qualsiasi pubblica amministrazione, sottintende quindi l'obbligo implicito di sottoscrizione di un contratto con soggetti terzi privati.

In migliaia di sentenze nel corso del tempo, la magistratura si è pronunciata, in ogni materia e disciplina, sentenziando, in modo inequivocabile che quando qualcuno "forza" una persona a sottoscrivere un contratto per trarre un vantaggio diretto o indiretto, può ricadere nel reato di "estorsione".

Infatti, la possibilità di avere un documento d'identità, un passaporto o anche un semplice certificato, costituisce un'esigenza fondamentale per i cittadini e per la propria autodeterminazione. In questa prospettiva, anche l'uso strumentale di mezzi leciti e di azioni astrattamente consentite, come quella di imporre un pagamento o un accesso esclusivamente in digitale, senza prevedere la possibilità di ottenere gli stessi servizi senza ricorrere all'intermediazione di terzi, può assumere un significato ricattatorio e genericamente estorsivo, quando lo scopo sia quello di forzare la volontà di un'altra persona.
L'ingiustizia del proposito, quindi, rende ingiusta la minaccia del danno, e il male minacciato, pur essendo lecito dal punto di vista astratto, diventa ingiusto perché è diretto a realizzare una finalità illecita (sottoscrizione di un contratto tra il cittadino e soggetti terzi).

Anche da quest'aspetto quindi, emerge chiaro che l'accesso esclusivo all'erogazione di un servizio pubblico mediante il web o solo dietro la modalità di pagamento digitale, configura un abuso.

Tuttavia il punto su cui concentrare la battaglia sul rifiuto della transizione digitale e della modalità esclusiva di pagamenti digitali nella pubblica amministrazione, sebbene ancor più grave di quello visto in precedenza, non è neanche questo.

Il punto focale verte sulla questione inerente il principio di democrazia e uguaglianza. Ammesso e non concesso che si vogliano sottoscrivere questi contratti con terzi, quindi che si voglia avere un conto corrente e una carta bancomat o di credito (cosa che non rientra tra gli obblighi di legge per alcun cittadino), che si abbia denaro a sufficienza per comprare un dispositivo, si accetti di creare un account e si disponga ancora del denaro per pagare la connessione dati necessaria all'accesso ai servizi della Pubblica Amministrazione, con l'imposizione di questi sistemi informatici, senza che sia garantito al contempo l'accesso in modo "tradizionale", cioè presentando le proprie richieste agli sportelli e pagando in contanti, si configura la palese volontà di creare un ordinamento giuridico non democratico, in cui ci sarà una parte della popolazione (non importa quanto grande numericamente, anche fosse il 99,9% non cambierebbe) che ha la possibilità economica (che comunque non è condizione sufficiente a giustificare alcuna imposizione) di accedere a questi servizi fondamentali per soddisfare le proprie esigenze, mentre alla parte che non può (economicamente, perché non può permettersi di sostenere i costi di un conto corrente, o di possedere un dispositivo che consenta l'accesso a internet, ecc.) o non vuole accedere digitalmente per evitare tracciamento, sorveglianza e controllo, gli viene preclusa ogni possibilità di accesso e quindi di godere appieno dei propri diritti. Con l'ulteriore aggravante che spesso si tratta di servizi o del rilascio di certificati del valore economico veramente esiguo e risibile, se non addirittura gratuiti.

La palese volontà di creare una società diversa da quella democratica prevista e stabilità nella Costituzione e nell'ordinamento giuridico, si configura in quello che nel nostro codice penale è indicato come reato di eversione (art.270 e 280 del codice penale). Il nostro ordinamento giuridico infatti, non contempla in alcun modo la possibilità di un cambio di forma di governo.

E' vero che con una riforma del 2006, il reato di eversione è stato reso perseguibile solo quando l'associazione eversiva ha carattere violento, ma il concetto di violenza è molto ampio. Non è una forma di violenza la discriminazione economica, o ideologica, ancor più quando questa impedisce, di fatto, l'autodeterminazione di una persona? Tale violenta discriminazione, non potrebbe addirittura tramutarsi in un attentato all'incolumità e quindi alla vita dei cittadini discriminati (pensiamo ad esempio all'impossibilità di recarsi all'estero per motivi di lavoro o salute, perché impossibilitato ad ottenere un appuntamento per il rilascio del passaporto o all'impossibilità di ottenere certificati necessari a una successione, ecc.)?

In questo senso quindi l'imposizione dei pagamenti digitali e di accesso a qualunque servizio della pubblica amministrazione, senza che sia mantenuta la possibilità di accesso "tradizionale", rappresenta una tanto evidente, quanto silente e strisciante, minaccia alla Repubblica Italiana, poiché rappresentano un concreto ostacolo alla libertà di autodeterminazione delle persone che, in assenza di taluni certificati, documenti e servizi, potrebbero veder compromessa la loro possibilità di sopravvivenza.

Dopo l'infame "green pass", con il quale per oltre un anno e mezzo sono stati discriminati milioni di cittadini che non si sono prostituiti al regime nazi-comunista, progressista, relativista, globalista e neoliberista, la cieca attuazione della "transizione digitale" è il nuovo strumento che si preannuncia permanente, con il quale il sistema sta cercando di sovvertire l'ordine democratico, provando permanentemente a trasformare l'Italia da "repubblica democratica" a "tecnocrazia oligarchica elitaria".

Tutto questo sta avvenendo già da anni in modo silente, presentato all'opinione pubblica come la costruzione di un mondo più "inclusivo" (termine di cui ho già parlato in un altro post) associato ad un altro termine ipocrita e fuorviante: "accessibile". Quando si parla di transizione digitale i termini ricorrenti infatti, sono proprio questi due. Come dovrebbe essere ormai chiaro a tutti però, ciò che stanno realmente creando un mondo "esclusivo", cioè riservato ai cittadini ubbidienti, e "inaccessibile" a tutti gli altri.

L'imposizione dei pagamenti digitali, non ha invece nulla a che vedere con la sicurezza dei pagamenti e con la lotta alla criminalità e con l'accessibilità ai servizi, l'uguaglianza e la libertà.

Il denaro contante rimane il mezzo di pagamento più "democratico e sicuro". Il contante ha valore (ancor meglio quando emesso da uno stato sovrano), la sua autenticità può essere verificata in maniera affidabile per distinguerlo dai falsi e non richiede l'intervento di terzi per il regolamento del pagamento e può essere utilizzato sempre e ovunque anche in assenza di energia elettrica. Nessun altro strumento di pagamento include questi quattro elementi con la stessa efficacia del contante.

Un vero e proprio "colpo di stato digitale" attuato sistematicamente da una varietà di politici e di amministratori locali e nazionali, con l'aggravante che il reato di eversione è attuato nell'esercizio delle loro funzioni di pubblici ufficiali e rappresentati dello Stato.

Rifiutare queste imposizioni e pretendere la possibilità di accesso diversa dal digitale oltre che il pagamento in contanti, non deve avvenire semplicemente per il timore di un controllo e di una sorveglianza futura o per una legittima lotta a favore del contante (su cui purtroppo non tutti sono concordi), ma anzitutto per la tutela delle libertà, della democrazia e della Repubblica già oggi, nel presente.

Stefano Nasetti

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