Biodiversità, immigrazione, patriottismo e sovranismo

26.09.2023

Una delle poche cose che sembra unire trasversalmente tutte le fazioni politiche oggi, è l'ambientalismo. è comunemente accettata la necessità dell'essere umano di preservare il proprio pianeta, il proprio habitat, la propria casa. Dopo oltre un secolo di devastazione, di modificazione a proprio uso e consumo dell'ambiente, bonificando paludi per rendere terreni fertili, tagliando intere foreste per sfruttare il legname o per creare pascoli, distruggendo montagne per estrarre metalli, minerali, idrocarburi, deviando corsi di fiumi per costruire dighe, scavando canali per unire oceani e mari, scaricando sostanze chimiche, tossiche e inquinanti nei fiumi e nei mari, incrociando razze animali per ottenere quella gradita, selezionando piante per ottenere raccolti migliori, "improvvisamente" l'uomo sembra aver scoperto che distruggere e il proprio habitat non è una cosa molto intelligente. Così, la protezione dei pochi habitat "incontaminati" rimasti sembra essere diventata una realtà ineludibile.

La preservazione della biodiversità è quindi la nuova parola d'ordine degli ambientalisti. Ma cosa significa? In buona sostanza vuol dire evitare che una specie animale o vegetale che sia, non possa "contaminare" con la sua semplice presenza, gli equilibri di quello specifico ambiente. Questo perché è stato scientificamente provato, oltre ogni ragionevole dubbio, che l'inserimento di un animale o di una pianta "aliena" a quell'ecosistema può compromettere irrimediabilmente l'esistenza di buona parte delle specie autoctone. L'organismo alieno, infatti, potrebbe alterare gli equilibri della catena naturale del cibo, soppiantando alcune specie determinandone l'estinzione. Ne abbiamo avuto un esempio negli ultimi mesi in Italia, in cui "l'arrivo del granchio blu" nel Mar Adriatico, è stata descritta come una iattura al pari della peggiore piaga d'Egitto, come l'invasione delle locuste ad esempio. L'unica possibilità di preservata una specifica biodiversità risiede nella speranza che l'organismo che è stato o si è introdotto nel nuovo habitat non riesca ad adattarsi e muoia.

Oggi quindi, ogni schieramento politico, riconosce la necessità di evitare queste "contaminazioni" perché la preservazione di ogni specifica biodiversità rimasta, in un pianeta che è ormai stato largamente compromesso, è un valore mondiale da preservare oltre che un obiettivo da perseguire. Tuttavia, specie nei movimenti progressisti che da sempre si sono presentati all'opinione pubblica come quelli più vicine alle logiche ambientaliste, la tutela della biodiversità sembra non avere, come spesso accade a questa parte politica non a caso patria del relativismo, coerenza. Infatti, la tutela della biodiversità vale per piante e animali, ma sembra non valere per l'uomo. Perché?

Ciascuna cultura è portatrice di identità, di valori e di senso, quindi tutte le culture hanno pari dignità e vanno preservate con attenzione ed impegno.

Se è giusto provare a far sì che l'introduzione di animali e piante per responsabilità diretta o indiretta da parte dell'uomo, non pregiudichi l'esistenza stessa di un intero ecosistema, perché lo stesso grado di tutela e attenzione non è rivolta verso la protezione della "biodiversità culturale" ogni Paese? Perché la "biodiversità culturale" d'intere nazioni o continenti, con il loro carico millenario di conoscenza e tradizioni non è meritevole della stessa tutela? Perché l'ambientalismo è considerato un valore mentre chi tenta di proteggere e preservare le identità nazionali, i valori, le tradizioni, la cultura di un Paese è etichettato in modo dispregiativo con appellativi che hanno comunemente una connotazione negativa come "nazionalista" o "sovranità"?

Sebbene chi scriva non ritenga che questi appellativi siano "negativi", non si può negare che l'utilizzo che comunemente se né fa ha certamente un'accezione dispregiativa ma, anche stavolta in ossequio alla logica relativista, ciò vale a seconda di chi lo dice. Infatti, negli Stati Uniti ad esempio, patria dell'odierno progressismo relativista, patria del globalismo e, al contempo Paese intriso di propaganda nazionalista, dichiararsi a favore della tutela dei propri (tra l'altro molto "giovani") valori e tradizioni e a difesa della sovranità nazionale è definito "un vero patriota".

In Europa e in Italia in special modo, osserviamo dunque a questo corto circuito cognitivo, questa dissonanza cognitiva secondo cui è bene preservare la biodiversità ambientale, ma non quella umana culturale. Pertanto, guai a parlare di fermare l'immigrazione (sì, "immigrazione" e non "migrazione") o di chiedere leggi a tutela della cultura e delle tradizioni nazionali, perché si viene immediatamente etichettati come "razzisti". Guai ad affermare che l'Unione Europea è un abominio giuridico senza una ragione culturale, perche è un pot-pourri di culture simili, ma certamente non uguali. Guai a parlare male del globalismo che vorrebbe tutti gli esseri umani riuniti sotto un'unica cultura globale. È possibile che le persone accettino tutta questa incoerenza, ipocrisia e illogicità senza chiedersi: perché c'è chi da decenni spinge in questa direzione?

Sebbene l'UE sia formata da Paesi e territori che nel passato sono stati uniti per alcuni secoli sotto un unico impero (quello romano) e quindi inevitabilmente presentino dei tratti comuni, passata questa breve parentesi, ogni Paese ha sviluppato la propria cultura, le proprie tradizioni, le proprie usanze che l'ha reso "unico" rispetto a tutti gli altri. Qualcuno invece ormai quasi trent'anni fa, ha stabilito che i cittadini di questa piccola porzione di Terra, dovessero forzatamente unirsi e sentirsi tutti "europei". 

Sono passati quasi trent'anni e forse è possibile provare a tracciare una linea e fare un piccolo bilancio a riguardo. Provate a chiedere a un italiano, a un francese, a un tedesco, a uno spagnolo, a un portoghese, a un belga, a un greco, e così via, se si sente più cittadino europeo o più cittadino del suo paese. Nella stragrande maggioranza dei casi, l'identità nazionale è ancora quella che è sentita maggiormente, ma questo è inevitabile, proprio perché, le diversità culturali sono molto evidenti. Per non parlare poi delle diversità culturali presenti all'interno del territorio di ogni singolo Paese europeo.

Preservare tali diversità è fondamentale al fine di conservare le identità nazionali, che sono poi il motivo ad esempio, per cui il mondo e la civiltà umana si è evoluta nel corso del tempo. Il confronto tra i valori di più culture, hanno offerto spunti di progresso, perché è il confronto a stimolare il pensiero libero e la genialità. Un mondo unipolare e dominato da una sola cultura globale è un mondo destinato all'estinzione per consunzione. La tutela riguardo la biodiversità culturale passa necessariamente e anzitutto, attraverso la conservazione e la riappropriazione (nel caso dell'Italia) della propria sovranità declinata in tutte le sue forme (monetaria, economica, legislativa, territoriale).

Non è certamente un caso che nella famigerata Agenda 2030 dell'ONU, che si prefigge ipocritamente di raggiungere obiettivi e risolvere i macro-problemi legati allo sviluppo economico e sociale, quali abbattimento della povertà assoluta, la risoluzione della fame nel mondo, il diritto all'istruzione e alla salute, l'accesso all'acqua e all'energia, che include obiettivi che mirano alla protezione delle biodiversità ambientali, alla tutela del clima, alla parità sociale e di genere, NON contempli alcuna misura reali per la conservazione delle identità nazionali di ogni paese. L'ONU ha volutamente ignorato il concetto di biodiversità culturale.

Già nel 2001 l'Unesco parlava dell'importanza del tema della biodiversità delle culture. La realizzazione della Dichiarazione Universale sulla diversità culturale rappresenta il primo vero documento redatto da un'organizzazione internazionale che evidenzia l'esigenza di tutelarne il pluralismo. Infatti, l'Articolo 1 – "La diversità culturale, patrimonio comune dell'Umanità" afferma che: "La cultura assume forme diverse nel tempo e nello spazio. La diversità si rivela attraverso gli aspetti originali e le diverse identità presenti nei gruppi e nelle società che compongono l'Umanità. Fonte di scambi, d'innovazione e di creatività, la diversità culturale è, per il genere umano, necessaria quanto la biodiversità per qualsiasi forma di vita. In tal senso, essa costituisce il patrimonio comune dell'Umanità e deve essere riconosciuta e affermata a beneficio delle generazioni presenti e future." Eppure, dopo 20 anni dalla pubblicazione del documento non vi è ancora, tuttavia, alcuna regolamentazione da parte delle istituzioni nazionali sull'argomento.

Chi oggi si scaglia contro la "tutela della biodiversità culturale umana" e si schiera a favore del globalismo, dell'europeismo, dell'immigrazione incontrollata non vuole altro che distruggere l'identità culturale delle nazioni e dei popoli. Perché lo fa? Per ottenere popolazioni omogenee nella loro eterogeneità, e quindi disunite al loro interno perché senza valori condivisi e perciò più facilmente soggiogabili, manipolabili. Una massa di persone intercambiabile, che è possibile spostare a piacimento per far svolgere i compiti graditi a chi tiene le redini del mondo, affinché possa soddisfare le esigenze, le volontà e i capricci dei pochi oligarchi che tengono il potere. Chi è contro la tutela della biodiversità culturale umana è contro l'identità dei popoli e l'ordine democratico costituito degli Stati o, più semplicemente, quello che il nostro codice civile definisce un "sovversivo", poiché compie azioni affinché lo Stato costituito cambi la sua "natura" o cessi addirittura di esistere a vantaggio di altri organismi politico-giuridici. Al contempo chi è favorevole alla tutela della biodiversità culturale umana è un patriota.

Come può l'Italia, che è uno dei territori che possiede il più alto tasso di biodiversità culturale, non prevedere tra i propri obiettivi di sostenibilità la salvaguardia della propria cultura?

Salvaguardia della propria cultura, non significa soltanto tutela della proprie usanze, tradizioni, valori, ma anche delle lingue (non solo quella nazionale, ma anche di tutti i dialetti locali), della proprio patrimonio artistico, della propria industria, del tessuto commerciale fatto di arti, mestieri e tradizioni e artigianato locale (il cosidetto "made in Italy") e di ogni altra cosa che ha contribuito o contribuisce alla definizione di un'identità nazionale.

Se si è a giustamente a favore della tutela della biodiversità ambientale, dovrebbe essere, per lo meno per logica e coerenza, favorevole alla tutela della "biodiversità culturale umana" e dunque favorevole alla conservazione e alla tutela delle identità nazionali. Ciò sia, chiaro, non significa essere totalmente chiusi ai flussi migratori, se regolari e non clandestini e se controllati e non incontrollati (dagli Stati, ma controllati da altri poteri) come accade oggi, ma non c'è certamente più spazio per chi arriva per prevaricare, per occupare e per distruggere. La possibilità di accoglienza dei migranti deve essere limitata e proporzionale alla capacità dei singoli Stati di gestire questi flussi e di tutelare le identità, le tradizioni, i valori e gli interessi nazionali, assicurandosi che chi arriva e chi rimane lo faccia tassativamente ed esclusivamente adeguandosi al rispetto della cultura del Paese che lo accoglie.

Uno Stato che non è in grado di ottenere questo è uno Stato che non ha sovranità. Uno Stato senza sovranità non è uno Stato.

La domanda quindi, sorge spontanea: l'Italia è ancora uno Stato?

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Stefano Nasetti

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